07 Ott Diario di viaggio di Silvia 2019 #2
La prima sera ad Adwa ho avuto il piacere di conoscere di persona tanti medici, infermiere, ostetriche con cui avevamo preparato i documenti per l’accreditamento in Etiopia.
Prima erano solo nomi, fototessere, diplomi di laurea e di specializzazione da portare in ambasciata (la burocrazia è terribile non solo in Italia: anche per operare ad Adwa servono quintali di carte bollate e ore di file negli uffici…).
Ora sono mani da stringere, vissuti da scoprire, caratteri diversi da far andare d’accordo – in alcuni casi basta un minuto e sembra di conoscersi da sempre, in altri non manca la fatica se si deve lavorare insieme.
È affascinante come ogni volta l’esperienza di volontariato ad Adwa, in un modo o nell’altro, accomuna in modo indelebile persone prima estranee. Chi te lo fa fare di dedicare settimane di ferie, centinaia di euro per il viaggio, adattarti ad ogni situazione per poter lavorare? Qualcosa di fondo ritorna in ognuna di queste persone speciali.
Io però non posso partecipare al grande lavoro che stanno facendo nella prima ala del nuovo ospedale, per ora ascolto solo i racconti e vedo le foto che mi condividono – magari riesco a convincerli a scriverci qualcosa, ci conto!
Devo dedicare questi giorni alle adozioni a distanza, per poter portare a casa un altro po’ di foto per i nostri mamme, papà, nonni a distanza. Lo meritate, il vostro aiuto è davvero importante. Sarà una corsa contro il tempo, per mandare in stampa entro novembre tutte le 1600 immagini e aggiornamenti dei bambini sostenuti… ma ce la faremo!
Lunedì mattina ho cominciato assieme a Carolina i colloqui con le famiglie. Per me era il primo giorno, mentre lei aveva già cominciato la settimana prima. Mi affianca anche Anna, volontaria veterana. Rahel, esperta segretaria della scuola, traduce dal tigrino all’inglese e viceversa, aiutandoci a raccogliere le informazioni su padre, madre, fratelli, scuola frequentata.
Quando però trovi, tra le altre, situazioni in cui la mamma è morta di AIDS l’anno scorso, il padre aveva abbandonato la famiglia, il fratello maggiore si è convinto di avere il malocchio e lascia da sole le sorelle per andarsi a curare alle “acque sante” con la medicina tradizionale… la tua lucidità ed imparzialità comincia a vacillare. Non puoi credere che davvero i servizi sociali locali non facciano niente, il nuovo ospedale non venga preso in considerazione da chi si sente male, le ragazzine possano vivere da sole.
Eppure ho promesso a Samuele di annotarmi le cose belle… la fiammella della speranza deve restare viva…
Vai a fondo, scopri che anche tra persone povere ci si aiuta. I vicini regalano loro cibo, un amico di famiglia paga l’affitto della loro casa, le ragazze hanno potuto continuare a studiare. Dove non poteva arrivare l’adozione a distanza, la rete di solidarietà locale ha supportato.
Ok Samu, anche per oggi ho trovato qualcosa di bello da raccontarti.